“Privacy. Questo è iPhone”. Probabilmente l’avete vista. E’ la nuova campagna della Apple. Nelle grandi città ci sono delle affissioni enormi. Non ho mai visto la parola privacy scritta in caratteri cubitali di queste dimensioni. Eppure avrebbero potuto promuovere una delle tante meraviglia della nuova serie 12: la connettività 5G (anche chissenefrega in effetti); la millesima fotocamera e gli ennemila megapixel (yawn, sbadiglio); la sincronizzazione col pensiero o lo schermo di un vetro così duro che si romperà solo il tuo iPhone in tutto il mondo. E invece hanno scelto di promuovere la cosa apparentemente meno sexy e più importante: la privacy.
In effetti con il nuovo sistema operativo iOS ogni volta che apri una app ti appare un messaggio che dice: sei sicuro di voler condividere tutti i tuoi dati personali con questa app, o anche meno? Io di solito rispondo anche meno, per vedere cosa cambia soprattutto. Se lo faranno in tanti, probabilmente cambierà il modello di business di Internet.
E’ un dibattito aperto che vede dalla parte opposta Facebook e, meno rumorosamente, Google che invece sostengono che così gli utenti avranno servizi peggiori (e le startup faticheranno a trovare clienti).
Mentre nel mondo la privacy viene elevata al tema più importante per il futuro delle nostre vite digitali, in Italia pare che ci sia una gran voglia di sbarazzarsene. Nel giro di una settimana si sono registrate quattro autorevoli “uscite” che in sostanza dicono la stessa cosa: che palle questa privacy, se non ci fosse il mondo sarebbe migliore. Prima Carlo Calenda a proposito di una decisione del garante sui dati dei lavoratori; poi il ministro Vittorio Colao e l’economista Carlo Cottarelli, per la scelta del Garante di non autorizzare per ora l’app IO per il Green pass vaccinale; e ultimo il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini che nel corso di un webinar ha detto che la fatturazione elettronica “non ha dato gli effetti sperati… perché abbiamo un armadio pieno di dati che non siamo autorizzati a utilizzare per la privacy”. L’evasione fiscale, insomma, è colpa della privacy.
Intanto sabato in un forum sul dark web un criminale informatico ha messo in vendita i dati personali di oltre 7 milioni di italiani, relativi alla loro situazione vaccinale. Dati provenienti da qualche data center dove erano protetti “in modo ridicolo”, ha detto l’hacker. Cosa c’entra l’attacco informatico con l’attacco politico alla privacy? Moltissimo. Quando parliamo di privacy non parliamo di un inghippo burocratico ma di un diritto delle persone. Come concetto nasce alla fine dell’800, ma recentemente sono stati due giuristi italiani (Giovanni Buttarelli e Stefano Rodotà) a farlo diventare in Europa una architrave per proteggere le persone nell’era digitale. A quelli che pensano sia una fisima, consiglio di riguardare il film Perfetti sconosciuti” quando improvvisamente in una cena tutti i messaggi che gli astanti ricevono vengono letti ad alta voce. Una vita senza privacy è quella cosa lì: la fine delle libertà personali.
Poi certo il comunicato stampa del garante sul Green Pass era criticabile; e si possono, anzi, si devono, fare passi avanti per rendere le banche dati pubbliche interoperabili (sempre usando soltanto i dati necessari non uno di più). Ma far passare l’idea che la privacy non serva, anzi, che senza “faremmo prima”, è sbagliato e pericoloso. Un anno fa quando debuttava la app Immuni molti sostenevano che per battere il virus avremmo dovuto rinunciare alla privacy e consentire a Immuni di tracciarci come in Corea del Sud. Quella tesi non è passata, il virus lo stiamo battendo solo adesso grazie ai vaccini e Immuni non ha funzionato non per la privacy ma perché al ministero della Salute hanno fatto di tutto per farla fallire. Se avessimo dato via libera ad una sorveglianza di massa tramite app non so se avremmo davvero contrastato il virus un po’ prima ma saremmo diventati uno stato autoritario.
Quando cedi sui diritti e le libertà fondamentali è un attimo che ti ritrovi a dire che per battere il traffico nelle città dovremmo limitare la libertà di movimento delle persone e per evitare di perdere tempo nei dibattiti, anche quella di espressione.
L’Italia in questo periodo storico è un ben strano paese: chi comanda sembra stia cercando di sbarazzarsi della privacy, rendendo i cittadini più vulnerabili; e nel frattempo tutto i dati che per legge dovrebbero essere pubblici, per esempio quelli sulla pandemia, restano blindati nei cassetti. Trasparenza zero. Vogliono sapere tutto di noi, ma non ci dicono nulla di loro.
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